LA VOCE IMPAZIENTE. VIAGGIO NELLA POESIA di Grazia Valente

33.  Il poema della vita

Anche perché siamo convinti che la vita di ogni essere umano, senza alcuna distinzione, sia un poema. Ancorché tutto da scrivere.

                                   I cattivi poeti

                                   sono bravi a sciupare

                                   anche il poema

                                   della propria vita.

E allora meglio tacere, se non sappiamo raccontarlo. Meglio deporre sul tavolo gli assordanti strumenti con cui vorremmo far rivivere il nostro poema, se non siamo in grado di suonarli. I cattivi poeti fanno quindi un pessimo servizio innanzitutto al poema della propria vita.

Ma, come fare a sapere se si è buoni o cattivi poeti?

34. L’autocritica: ipercritica e ipocritica

Riprendendo il discorso sull’ambizione del poeta, vorremmo sottolineare la necessità per il poeta o, comunque, per chi si propone come tale, di essere dotato di una buona capacità di autocritica. 

A volte può accadere che il poeta sia ipercritico per una sua propria particolare sensibilità al brutto poetico (che non riguarda soltanto l’aspetto estetico, ma anche e soprattutto quello legato alla autenticità del linguaggio), oppure per un eccesso di perfezionismo. Ciò può essere a volte un freno alla creatività. 

Ma l’ipocritica, ossia la mancanza di un reale senso critico, è assolutamente deleteria, poiché non produce altro che mediocrità e banalità. E se dobbiamo rassegnarci alle imperfezioni, non dobbiamo comunque rinunciare a essere molto severi con noi stessi. Ma, come riuscirci? 

E qui si ritorna al discorso relativo ai grandi poeti, ossia alla necessità di formarsi un gusto poetico, che può realizzarsi soltanto con frequentazioni di buon livello letterario, eliminando – per quanto possibile – le cianfrusaglie pseudo-letterarie che ci vengono rovesciate quotidianamente negli occhi e nelle orecchie. Tenendo presente il fatto che l’essere umano è imitativo, e fondamentali sono perciò i modelli che gli vengono proposti. Occorre una  educazione permanente, una incessante opera di scarto tra ciò che ci viene proposto (ma sarebbe meglio dire propinato) e ciò che può essere utile alla nostra formazione. La stupidità è come una malattia infettiva: molto contagiosa!

Riconoscere ciò che è culturalmente valido è fondamentale, così come imparare a distinguere tra ciò che è moda, e quindi transitorio, e ciò che invece è rivelazione, scoperta. Il senso critico si formerà a poco a poco, senza che noi stessi ce ne rendiamo conto.

Sarebbe comunque importante abituarsi a essere critici su qualsiasi argomento, non soltanto quello letterario, imparando a non accettare aprioristicamente alcuna verità rivelata, liberandoci da quel conformismo di fondo che spesso alberga in ciascuno di noi. Sarebbe opportuno esercitarsi a percepire l’opera d’arte con i propri sensi e non con quelli di altri, anche se si tratta magari di critici altamente qualificati. Questa, infatti, se è veramente tale, parlerà un linguaggio universale, che ci verrà rivelato anche se non siamo particolarmente esperti. Successivamente, certo, potremo servirci dell’opera del critico. Ma è importante dilatare il più possibile i nostri pori, regolare bene le nostre antenne.

Un freno all’intelligenza, a nostro parere, è dato dai pregiudizi, da atteggiamenti di chiusura aprioristica dovuta essenzialmente a idee precostituite che oppongono una barriera a ciò che, in qualche modo, ci appare estraneo, perché sconosciuto. E sappiamo come  il nuovo spaventi, poiché ci costringe a ripensare i modelli già catalogati nella nostra mente e che, per pigrizia, non vogliamo rimettere in discussione. Affinare quindi questa capacità critica ci permette di essere più liberi, in quanto più consapevoli. Non accetteremo soltanto quello che è già collaudato, ma volgeremo la nostra attenzione anche a quello che sta cominciando ad apparire all’orizzonte. Il bello letterario può arrivare da qualsiasi parte, non possiamo lasciarcelo sfuggire perché non lo abbiamo saputo riconoscere.

Riepilogando: se avremo sensibilità, senso critico e qualcosa da dire, il mondo della poesia sarà nostro. Nessuno ci chiederà di essere “bravi”, ma saremo noi per primi a pretenderlo, dal momento che, se non lo fossimo, saremmo rifiutati innanzitutto da noi stessi,  avendo conquistato quel gusto del bello che mai potrà tradirci.  Quindi: letture selezionate e sensi vigili su ciò che ci circonda. Il resto verrà. E, comunque, meglio sarebbe non leggere affatto, piuttosto che nutrirsi di cattiva letteratura (ed è la maggior parte di quello che circola). L’uomo, animale curioso, sa trarre dall’osservazione del mondo in cui vive considerazioni acute e inimmaginabili, molto più interessanti delle pagine di molti, troppi libri. 

Certo, è importante avere quel famoso “qualcosa da dire” o, meglio, qualcosa che non possiamo non dire, che ci urge dentro. Soltanto da questa urgenza può scaturire una qualche rivelazione che sia tale non soltanto per noi, ma anche per gli altri. 

35. L’indicibile in poesia

Ma, accanto a quello che non possiamo non dire e che, per mezzo della poesia, illuminiamo, vi è una zona che rimane oscura, un luogo nel profondo di noi stessi che rimane in ombra.  Dal momento che non tutti i nostri pensieri, le nostre emozioni, possono – o vogliono – essere raccontate, vale a dire tradotte in versi. Vi è sempre un qualcosa che tratteniamo: l’indicibile.

                                   Vi sono pensieri che non sanno

                                   vestire l’abito regale dei versi.

                                   Stanno seduti in cerchio

                                   come pastori al chiarore

                                   del fuoco.

                                   Sono i pensieri più veri..

Qualcosa che non vogliamo, o non possiamo, dire, per un senso estremo di pudore oppure per paura di guastarlo, di contaminarlo con le parole. Poiché sappiamo bene come tra quello che diciamo (o riusciamo a dire) e quello che avremmo voluto dire vi sia uno stacco, una distanza per cui, a volte, ci sembra che, di quello che era il nostro vero pensiero, sia pervenuta solamente l’eco.

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