CARBURANTE PER LA DEMOCRAZIA di Letizia Gariglio

La democrazia affronta una crisi già da tempo e presenta molte fragilità rispetto rispetto al suo futuro. Negli ultimi decenni i processi democratici hanno subito un’inversione di tendenza in tutto il mondo e le libertà dei singoli e dei gruppi è andato diminuendo.

Così, sebbene non ami indulgere nelle commemorazioni del passato, atteggiamento che spesso si accompagna —almeno nella nostra generazione di boomers— ad un nostalgico attaccamento per certi paradigmi del tutto inutili oggi per capire il mondo presente, e malgrado non mi permetta volentieri di ripiegarmi con rimpianto verso il passato e le storie di gruppo e di famiglia, almeno per questa volta mi sono concessa un tuffo nella linea passata degli eventi, fra ciò che sta “dietro”e ha fondato il nostro oggi, nonostante cerchi di prediligere prestare attenzione agli accadimenti odierni. È in questa onda personale sentimentale /retrò che ho voluto rileggere e riascoltare un discorso del 1955 di Piero Calamandrei, tenuto presso l’Umanitaria di Milano, con cui l’eccellente comunicatore aveva affascinato una platea di giovane studenti. A loro raccomandava la vigilanza, la cura della libertà e della democrazia; si rifaceva alla nostra Costituzione,  e affermava che «la democrazia è solo in parte una realtà, ma in parte un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere», in permanente polemica con il presente».  

Le Costituzioni, diceva, contengono sempre una polemica con il passato, verso i regimi precedenti, ma nella nostra Costituzione c’è una parte che è in polemica con il presente, per esempio quando nell’articolo 3 , dopo aver affermato che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,  economica e sociale del Paese», facendo in tal modo comprendere che alcune limitazioni sono ancora in atto e che la Repubblica deve operare per superarle.

Nel suo intervento, ricco di spunti di riflessione, di simpatia e di essenzialità, parlava della Costituzione come di una macchina utile a raggiungere la libertà,  non basta mettere in moto la macchina, ma bisogna di continuo aggiungere il carburante:«la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto vada da sé, è un pezzo di carta, se lo lascio cadere non si muove. Perché si muova, bisogna rimetterci dentro il combustibile: l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere le promesse».

Nel suo discorso parlava del nichilismo dei giovani, che lui chiama “indifferentismo”: ignavia, in buona sostanza, apatia verso la vita politica, tale da renderli scarsamente partecipi alla vita politica  e sociale del loro paese, inclini ad astenersi dal prendere posizioni fra idee e orientamenti.

Mi piace immaginare la platea di giovani cui si rivolgeva come un uditorio attento, interessato, coinvolto: tale in effetti era. 

Non mi piace invece immaginare come si comporterebbe un uditorio analogo al giorno d’oggi: un conglomerato di individui freddamente chini sullo schermo dei loro cellulari, un insieme di persone isolate una dall’altra, incapaci di formare un’unità partecipativa, tanto solitari quanto iperconnessi con i mezzi tecnologici, incapaci di vero ascolto.

Ma forse mi sbaglio. Desidero sbagliarmi.

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