RAP: CHE PASSIONE! di Letizia Gariglio
Mi sono sempre chiesta che cosa avrebbero potuto dire del rap, forma musicale squisitamente contemporanea, i grandi musicisti del passato. Musicalmente vuoto e assai povero di sostanza tecnica musicale il rap credo dovrebbe apparire loro come un esercizio di monotona ripetizione di parole e di ritmi, aventi caratteristiche quasi infantili; senza parlare della scarsa innovazione e profondità che le sue parole esprimono. Anche le facili rime sono degne di bambini di scuola elementare, così ripetitive e stantie da produrre un senso di banalità generalizzato. Immagino che molto più di me potrebbe annoiare i geni della musica classica. Non è certo questa una forma di elevazione dell’arte musicale, ritengo invece che sia una forma di impoverimento che offre un chiaro esempio di come le forme artistiche possano essere sottoposte a processi involutivi spaventosi.
Che ne è della melodia? Che ne è dell’armonia? Quattro accordi in croce (ma forse il numero è esagerato) ripetuti ossessivamente, privi di progressioni armoniche, si accompagnano ad altrettanta povertà dei testi. Non dovrebbe la musica elevare elevare l’anima, suscitando emozioni profonde?
Ascoltare il rap: una sofferenza, una vera passione.
Nato a partire dagli anni ’70 del Novecento nei quartieri neri di New York, caratterizzato da canzoni con un ritmo molto pronunciato, derivato dal funk, si è in questi cinquant’anni diffuso in tutto l’occidente, condizionando pesantemente il gusto e la cultura americana prima, e europea poi.
Che cosa l’abbia reso vincente è difficile a dirsi, ma forse la ragione va cercata proprio nella sua semplicità, direi elementarità: non occorre una bella voce per cantare facendo rapping, non occorre nemmeno conoscere i fondamenti della musica, basta aver voglia di buttarsi nella creazione di una sorta di litania, appioppando alle parole una larvata voglia di protesta, meglio se ricca di stereotipi, così da non costringere nessuno a pensare.
So che molti non condivideranno la mia opinione e qualcuno non si esimerà dal pensare che le mie parole possano contenere un larvato significato razzista. Non è così. Ho sempre apprezzato le forme musicali popolari, e proprio per questo penso che non vadano definitivamente perdute le memorie di antiche forme di canto popolare squisitamente italiano, in cui eccellevano (anche) i creatori di forme d’improvvisazione. Ciò accadeva originariamente, per esempio, nelle forme di canti a contrasto; per esempio quelli in cui uomini e donne dibattevano con il canto sulla visione dell’amore, in chiave ironica; oppure si opponevano l’un l’altra le visioni sulla vita di madre e figlio, ricco e povero, padrone e mezzadro, e così via. Poi anche queste forme si cristallizzarono in strutture che ci sono giunte dalla tradizione con parole e musica, spesso in forma di strambotto.
Qualcuno obietterà che originariamente anche le forme musicali rap si configuravano come improvvisazioni. Verissimo. Negli anni degli inizi molti rapper iniziarono così la loro carriera: impararono prima a padroneggiare l’improvvisazione (freestyle, nel gergo rap) e poi cristallizzarono le loro creazioni in canzoni. In quel tempo i rapper si trovavano (soprattutto a New York) in luoghi convenuti, come i parchi, per ascoltare e rappare insieme ad altri. Si svolgevano vere e proprie sfide, (le battle) e il vincitore della battle veniva proclamato tale con gli applausi dei presenti.
Oggi esistono in Italia delle manifestazioni organizzate cui i rapper possono partecipare e contendere l’un altro, ma in realtà non si tratta più di improvvisazione pura, perché i temi o il flusso ritmico vengono preordinati.
La contesa non faceva parte di un’altra forma musicale, come il rap nata negli Stati Uniti, in seno alla comunità dei neri, dove all’inizio del Novecento era concentrata, soprattutto nel Sud, una vasta popolazione di ex schiavi, da poco affrancati dalla schiavitù: il jazz. Ma nel jazz la raffinatezza musicale viene continuamente ricercata e si evolve, si evolve, si evolve, fino a raggiungere (probabilmente) il suo apice: la musica negro-americana, attraverso il jazz, ha conseguito ambizioni altissime, donando al mondo le sue caratteristiche e assorbendo in sé elementi musicali da tutto il mondo.