ESUMAZIONI INFORMATICHE di Pietro Paolo Capriolo
Ah, prodigioso utilizzo del computer! Ancor ricordo allorché, timoroso, ne ho appreso l’uso ai tempi dei soli comandi da tastiera (da impartire rigorosamente in inglese), quando ancora mouse e Window erano lontani ed i processori alla portata dei normali utenti erano targati 286!
Come poi ho ripetuto ai colleghi della scuola in estemporanei corsi di aggiornamento, la molla che faceva scattare la voglia di imparare ad usarlo era la possibilità di scrivere, riscrivere, correggere e modificare i testi. La potenza di calcolo, la capacità di organizzare i dati, la raccolta di immagini e filmati… erano tutti aspetti secondari. Poter “riesumare” un precedente lavoro per adattarlo alle esigenze contingenti, senza dover ribattere tutto quanto il testo è davvero stato, per me e per tanti convinti a fare la fatica dell’apprendimento, l’incantesimo che ci ha fatti avvicinare ad un marchingegno che immancabilmente ci rimproverava di avergli dato qualche comando errato. Quanti Bad command abbiamo ricevuto!
Il paragone con la riesumazione era in me talmente radicato che il primo testo che ho scritto al computer l’ho battezzato EXUMIST.1 (Ricordate? Erano consentiti soltanto otto caratteri, più altri tre, preceduti da un punto). In esso vi avevo riassunto tutta la procedura per cercare, trovare, aprire un file, utilizzarlo e salvarlo con altro eventuale nome. L’avevo messo lì, nel disco rigido, perché fosse subito a disposizione. In realtà non avevo badato al fatto che, se fossi riuscito ad aprirlo, già avrei posseduto le tecniche necessarie per farlo e, sostanzialmente, questo file l’ho poi soltanto esibito su dischetto floppy ai colleghi apprendisti e caricato sui PC che loro utilizzavano come “modello sacrificale” da poter pasticciare.
Riandando a quei lontani momenti di autoaggiornamento, mi viene da sorridere alla comica situazione creatasi all’ostinato rifiuto del computer ai tanti comandi errati in successione (per sintassi procedurale o per semplice pigiatura di tasto sbagliato) ed il monitor era pieno zeppo di scritte che si susseguivano una sotto l’altra. Rifacendomi ad una lezione precedente in cui si era fatta pratica con il comando basilare cls, cioè clear screen, per cancellare tutti i messaggi, ho suggerito ad una collega di “pulire” lo schermo, letteralmente traducendo il comando in italiano. Mi guardò storto, poi notando tutte le ditate sul vetro del monitor, estrasse un fazzolettino di carta e lo strofinò! E comunque l’operazione estetica esteriore non funzionò.
All’acquisto di un nuovo computer, veniva fornito un corposo manuale di istruzioni; la nostra scuola ricevette “in carità” qualche 286 ritenuto ormai obsoleto da un’agenzia di assicurazione che così si sgravò dell’obbligo della rottamazione e fece bella figura con la segreteria. Naturalmente i manuali non ci furono elargiti, perché a quei tempi erano gelosamente conservati nei cassetti degli impiegati che ne avevano quotidianamente bisogno.
Possiedo e conservo per ricordo uno di questi manuali IBM, versione 3.20. Non voglio contare di quante pagine consista, perché la numerazione non è progressiva, ma va per sezioni di argomenti. Mi è più facile misurarne lo spessore: 3,5 centimetri. La cosa più curiosa è la sezione che illustra com’è costituito il manuale e come si deve consultare.
Nella pancia del computer era collocato il DOS (Disk Operating System), cioè il software fondamentale per farlo funzionare e far “girare” altri programmi, come quello di scrittura. Le macchine che abbiamo ricevute in dono, fortunatamente già ce l’avevano caricato sul disco fisso, ma in altre scuole ho visto computer ancora più vecchi, privi di disco rigido che abbisognavano, prima di essere utilizzati, di ricevere su un dischetto il DOS per poter operare e registrare il lavoro su altro dischetto introdotto in un driver a fianco. Ho visto una maestra piangere, perché sul suo floppy non c’era più spazio per salvare il lavoro e doveva lasciare il laboratorio ad una classe per la lezione di informatica. Per sua buona sorte ero lì e gliene ho prestato uno.
Anni dopo, quando mi decisi a prendere una laurea, all’esame di informatica portai una corposa tesina su supporto cartaceo e su CD una presentazione Power Point, dove erano raccolte esperienze del mondo della scuola, dei colleghi, degli alunni e dell’ufficio di segreteria. Il titolo era: “Chi ha paura dello sparviero?”, prendendo a modello un noto gioco da cortile. Come ci furono nei vari contesti di lavoro non pochi che anticiparono la pensione prima dell’introduzione del computer negli uffici, anche nella scuola gli insegnanti guardarono titubanti quella cosa lì che pretendeva di dettare linguaggi e modi di operare. Molti se ne schernirono dichiarandosi non competenti e non tenuti a farne uso, altri demandando a insegnanti distaccati su eventuale “laboratorio” informatico. Pochi si resero subito conto che l’uso non era specifico di un ambito, ma trasversale ed utile a tutti. Ne avevo parlato con la preside che volle una copia del CD (Al suo pensionamento, lo ritrovai in una vetrinetta del suo ufficio in bella vista, ma sospettai mai consultato).
Prima ho accennato alla gustosa scenetta durante un corso di aggiornamento, voglio ora addentrarmi nei ricordi di frequentazione della segreteria. Finalmente erano state acquistate due macchine moderne. Entrando, notai che un’applicata stava stendendo un ordine di acquisto di materiali, con tanto di prezzo a fianco di ogni voce e poi il totale in calce. Non era proprio una tabella elettronica, ma piuttosto richiamava ancora le vecchie lettere commerciali che si scrivevano a macchina. La cosa più originale e gustosa era la presenza, fra lo spazio della tastiera ed il monitor di una piccola calcolatrice per farci i conti, prima di digitare il numero cercato. All’obiezione che “computer” non è soltanto il nome di uno strumento per scrivere, ma che sa anche computare, fare cioè i calcoli, destai una certa meraviglia, ma poi mi dedicai a mostrare dove reperire la calcolatrice di bordo, come usarla in contemporanea alla scrittura, come copiare i dati ed inserirli nel testo mantenendo la stessa formattazione. Le tabelle di Word® e le formule consentite per aver i più ordinari risultati numerici, le demandai poi ad un secondo tempo, per non parlare di Excel®. Eravamo ancora alla mentalità del foglio di carta sul rullo della macchina per dattiloscrivere!
Un’altra gustosa scenetta colta in un passaggio in segreteria riguarda i frequenti litigi per l’uso di un file personale da parte di altro utente; classica era la denominazione: Carta intestata. Chi abusivamente se ne serviva, poi salvava il file con il suo contenuto, infischiandosene del precedente uso. Praticamente ogni giorno veniva prodotta almeno una circolare con tanto di intestazione dell’istituto e l’occasione di piratare una pagina con intestazione già fatta era quotidiana. Una collega insegnante che per motivi di salute era stata “riciclata” in segreteria ne era la vittima più frequente. Decisi di darle un vantaggio.
Per lei soltanto creai una sezione del computer d’uso comune in cui archiviare i suoi lavori e sempre solo per lei una macro, cioè una serie di istruzioni che vengono raggruppate in un unico comando per automatizzare compiti ripetitivi. Le macro sono utilizzate per semplificare e velocizzare operazioni complesse che altrimenti richiederebbero molto tempo se eseguite manualmente. Pigiando con il mouse su un tasto virtuale posto nella barra multifunzione, ad ogni richiamo, lei così in un attimo otteneva un foglio di carta intestata, riguardante l’Istituto, le succursali con indirizzi, i numeri di telefono con tanto di simboli in caratteri Wingdings . La pagina iniziava con la città seguita da virgola e lo spazio per indicare la data e poi, con l’invio a capo, era prevista pure la rientranza a sinistra di un centimetro. Fu un lavoretto di programmazione della durata di una decina di minuti, ma che faceva risparmiare tempo, piaceva allo sguardo e rendeva possibile il salvataggio con nome congruo all’argomento trattato. Ma il segreto non poteva durare molto: la signora confessò chi fosse stato l’anonimo benefattore e fui costretto a installare la medesima macro sull’altro computer della segreteria. Andò tutto bene per mesi, finché ad una passata di antivirus, risultò in ognuno un programma sconosciuto e temendolo nocivo, fu spietatamente eliminato! E si tornò alla situazione iniziale, con tanto di litigi, dispettucci e l’obbligo di copiare da un file precedente tutta l’intestazione. Resistetti alle insistenti preghiere una settimana, poi intervenni nuovamente come quella volta, anni prima, che dal DOS centralizzato era stato fatto sparire un file indispensabile (un: …punto exe, tanto per capirsi) per far funzionare la macchina. Bisognò che mi avvicinassi come si faceva un tempo, con il DOS su dischetto, e rimpiazzare il file sottratto. Mai trovato il responsabile, forse un ragazzino esperto e disinvolto.
Prima, avevo accennato all’esame di informatica; vi ritorno per dire che una sezione della tesina riguardava proprio le motivazioni addotte ai colleghi per loro fare apprendere l’uso del computer. L’avevo intitolata: i docenti scrivono. Non ci posi esempi di esercizi e prove di verifica, né di noiosi verbali, bensì due mie composizioni che avevano attinenza con il mondo dell’informatica. Una ve l’ho già propinata nell’articolo “Help” pubblicato sul n. 43 del gennaio 2022 e l’altra è un presunto patema d’animo d’una stampante in bianco e nero collegata al medesimo computer dove s’è aggiunta una nuova macchina a colori preferita dall’utente. Il testo era in piemontese e questo va detto perché il malinteso ed il doppio senso su cui si fonda il dramma della gelosia vissuto dalla stampante nasce dal medesimo suono dell’acronimo DOS con d’òss, che in piemontese significa: di ossa. Dunque, nessun problema di cuore, ma soltanto una comunicazione preferenziale dovuta al linguaggio informatico.
Il mio errare nostalgico si ferma qui, ma spero di aver suscitato la voglia di vagare fra i ricordi delle proprie esperienze fatte in questo mondo dell’informatica così intrigante e ormai indispensabile per tutti noi. Sembra un’altra epoca lontana eppure è soltanto l’altro ieri!