LA VOCE IMPAZIENTE. VIAGGIO NELLA POESIA (36, 37, 38, 39) di Grazia Valente
36. La poesia come entità astratta
E questa perdita di controllo da parte del poeta nei confronti della propria creazione a volte può dare la sensazione che la poesia sia una sorta di entità astratta, qualcosa che si colloca al di fuori del poeta stesso, quasi un suo doppio.
Accade così che il poeta si rivolga alla poesia come a una entità che esiste di per sé, incarnazione di un essere che vive di vita propria.
Poesia,
assottiglia le mie parole
come giunchi
per piegarle ai tuoi piedi.
Si chiede quindi alla poesia di autocorreggersi, riconoscendole una vita autonoma, staccata dal poeta. Addirittura le si attribuisce una superiorità stilistica. La poesia è divenuta una entità diversa dal poeta, molto simile a una divinità.
Pensieri sfuggiti al controllo
si posano sulle mie ciglia
– Poesia
di che colore hai gli occhi?
Qui, in una atmosfera surreale, si direbbe che, dopo lo sdoppiamento, sia avvenuta la riunificazione tra poesia e poeta. In entrambi questi fenomeni si ha la sensazione che si sia verificata una totale immedesimazione tra poeta e atto creativo, la quale immedesimazione fa sì che, a volte, essi siano raffigurati come una cosa sola, altre invece come esseri distinti. E quando la poesia, vale a dire l’ispirazione, si allontana, il poeta avverte la sensazione che gli manchi una parte di sé.
37. Il mistero dell’essere, o sentirsi, poeti
Ma tu
Musa ingiallita
di chi sei figlia?
Chi ti ha dato
questa luce verde
nello sguardo
e questa mano nervosa
che sa piegare i pensieri?
Qui il poeta parla a se stesso, interroga la propria immagine raffigurata ironicamente come una “Musa ingiallita” cercando di carpirle il segreto della propria arte. Poiché la genesi del pensiero creativo rimane un mistero anche per noi stessi . “Scrivere è un processo di rivelazione” (Raymond Carver).
38. La poesia: libera, indipendente, provvisoria
Ma la poesia va considerata anche come elemento fuggevole, perché così è giusto che sia: aria vento acqua che scorre via. Va afferrata al volo.
Scrivo i miei versi su foglietti
sparsi, abbandonati sul marmo
di tavolini di caffé senza insegne
pronti a fuggire
al primo vento.
I foglietti sparsi esprimono il senso di provvisorietà, in contrasto con la solidità del marmo, immaginato come la necessaria base solida. su cui poggia la poesia. L’assenza di insegne invece allude al bisogno della poesia di non essere collocata sotto alcuna bandiera, intesa come conventicola letteraria, ma libera, indipendente e provvisoria, perché sempre in divenire. E inoltre: la poesia è di tutti, a disposizione di tutti, proprio come i caffé dove tutti possono entrare.
39. Il poeta e il senso di onnipotenza
E’ possibile che si avverta a volte, quando si scrive, una sensazione simile al senso di onnipotenza, dovuta forse alla percezione di essere, in qualche modo, parte di un unico universo metafisico, noto solamente al poeta stesso.
Alzo il mio arco
teso nella notte.
Vorrei colpire le stelle
una a una
trapassarle con la forza
dei miei versi.
La notte
impallidendo
si allontana.
E nel poeta è presente il desiderio che la sua poesia abbia forza di persuasione, che sia cioè in grado di imporsi, di raggiungere il bersaglio anche più lontano e ambizioso. Ma la poesia esprime anche tensione, là dove il bersaglio (la notte stellata) che si allontana) sta a significare, sia che essa non dura in eterno (impallidisce perché sta diventando giorno), sia che impallidisce perché spaventata dalla propria stessa ambizione. Qui si misura anche il senso di fragilità del poeta di fronte alla vastità dell’universo. Poiché il poeta si sente onnipotente, consapevole di non esserlo.