PAROLE .VARIAZIONI (17,18,19) di Grazia Valente
17. Parole controvento
Non esiste dissolutezza peggiore del pensare, scriveva la poetessa polacca premio Nobel Wislawa Szymboska. Ma noi vorremmo integrare questo concetto con una appendice: non esiste dissolutezza peggiore del pensare diversamente, vale a dire: pensare diversamente dal pensiero corrente. Pensare e parlare controcorrente, anzi controvento, dal momento che le parole sono più assimilabili all’aria che all’acqua, può essere molto difficile ma, soprattutto, pericoloso. Ci vogliono nervi saldi, spalle larghe, principi ben radicati, per pensare in modo difforme dal pensiero della maggioranza e per affrontare le conseguenze di questo pensare difforme. L’anticonformismo è sempre guardato con sospetto. Una frase che circola spesso è: il conformismo dell’anticonformismo, per insinuare il dubbio che il pensiero libero sia in realtà un pensiero conformista camuffato. A tal punto appare intollerabile l’idea che qualcuno possa osare discostarsi dal pensiero della maggioranza delle persone. Scriveva lo scrittore Thomas Bernhard che gli uomini non amano la libertà. Abbiamo forse un destino di schiavitù, di pensiero asservito a un potere invisibile? Dobbiamo dunque rassegnarci al fatto che la condizione di schiavi sia la naturale aspirazione dell’essere umano? Oppure riguarda soltanto il nostro popolo? (Piero Gobetti: gli italiani hanno animo di schiavi).
18. Il ticchettio delle parole
Le parole che diciamo sono pulite, non inquinate da fattori esterni, pronunciate nella loro limpidezza di significato, enunciate senza artifici e senza stereotipi? Difficile sostenerlo, dal momento che viviamo, ci muoviamo, pensiamo in un contesto sociale preciso dal quale assorbiamo senza rendercene conto ogni singolo atomo. Ad esempio: ognuno di noi ha i propri tic linguistici, parole o frasi intere che ricorrono spesso nei nostri discorsi al punto che finiscono con il caratterizzarci. I nostri tic linguistici andrebbero analizzati per capire come sono nati e per quale necessità psicologica, dal momento che paiono avere la funzione di sostegno utile a darci coraggio nel corso del discorso che stiamo pronunciando, oppure ci permettono di prendere tempo così da poter pensare a quello che dovremo dire in seguito. Ma è meglio lasciare all’analisi di psicologi e paicoanalisti la spiegazione clinica di questi tic verbali. Noi ci limiteremo a suggerire come essi riescono comunque a costituire elementi che ci umanizzano e favoriranno il ricordo della nostra persona, quando non ci saremo più. O almeno così sosteneva Edoardo Sanguineti: saremo ricordati per tre o quattro tic.
19. La bulimia delle parole
A volte si ha la sensazione che le parole che circolano ci stiano sommergendo. Parole che escono da apparecchi creati appositamente perché siano diffuse, lette, ascoltate dal maggior numero possibile di persone. Parole che escono dai televisori, dalle autoradio, dai computer, che ci seguono nei supermercati, che rompono con la loro invadenza lo svolgersi di una storia interessante (ci riferiamo alla invadente pubblicità televisiva), parole che ci raggiungono nelle nostre case con telefonate definite di pubblicità molesta, ne siamo invasi, frastornati, condizionati. Eppure mai come oggi avvertiamo la solitudine, ci muoviamo nelsilenzio delle nostre anime e dei nostri cuori. Lo si capisce dal modo quasi disperato con il quale consultiamo il display del cellulare alla ricerca di messaggi, di contatti, di segnali di vita che arrivino dall’etere, pronti per essere letti e assimilati in pochi secondi. Un fiume inarrestabile di parole, parole silenziose, che non sono scandite da una voce umana ma scorrono ininterrotte sotto i nostri occhi che le guardano come ipnotizzati.
Secondo una ricerca, poi diventata documentario dal titolo “Sono persone come noi” della regista australiana premio Oscar Eva Orner il cellulare viene consultato mediamente 150 volte al giorno.
Che cosa sta diventando, la vita vera? Come si stanno plasmando i nostri pensieri, la nostra coscienza, il nostro status di individui cosiddetti pensanti? Siamo ancora in grado di pensare autonomamente? Oppure i nostri pensieri sono ormai semplici derivati di pensieri altrui, di strategie comunicative nate in un altrove che non ci appartiene ma ci possiede? Dove ci porterà, questo smottamento che non sembra avere fine?