INCONTRO IMPOSSIBILE SULLA PORTA DI UN LABORATORIO SCIENTIFICO di Pietro Paolo Capriolo (P. P. Roe)
«Benvenuto all’appuntamento, signor Ludione. Mi permetta di chiamarla con questo nome che ha portato prima d’essere detto semplicemente “Diavoletto di Cartesio”.
Quando la segretaria dell’Agenzia mi ha chiamato dandomi l’incarico dell’intervista, ho pensato ad uno scherzo. Avevo già avuto incontri impossibili (con la governante di casa Galvani, con santi e personaggi biblici ed addirittura con il Timeo di Platone),ma si trattava pur sempre di ectoplasmi con salde radici storiche o letterarie. Con un… divertissement scientifico, un giocattolino insomma, proprio non me l’aspettavo!»
«Non abbia scrupoli! Mi chiami pure come meglio le pare. In quanto a creatura animata, non per vantarmi, ma io lo sono ancora e molto di più di quelli che ha citato poco fa. Non c’è laboratorio scientifico in cui non compaia in versioni più o meno eleganti e non entri a far parte di un corredo di nozioni scientifiche che, proprio per la mia natura divertente, si imprimono nella mente degli studenti»
«Quando lei si vanta di una vita reale, cosa intende esattamente?»
«Ricorderà certamente la celebre deduzione logica del grande pensatore: “Cogito ergo sum”. Ebbene, nella prima corporeità di vetro soffiato, non potevo pensare e nemmeno ora mi sogno di farlo come invece è capace lei. Nella mia secolare vita ho appreso però tante cose dall’osservazione e posso ben dire anch’io d’esistere e per di più in diverse versioni. Provi a scorrere le offerte in Internet, ma sono facilissimo da realizzare con un po’ di sano bricolage e fantasia decorativa.»
«Ammetto che mi ha incuriosito sempre e che ci fu un tempo della mia carriera di docente di scienze in cui spesso l’ho evocata -No, mi correggo- presentata agli alunni per attirare la loro attenzione ed invogliarli a sperimentare.»
«La ringrazio. Anche lei ha contribuito a darmi vita. Lo sa? Qualcuno di quei ragazzi d’allora mi fa rivivere ancora oggi con figli e nipoti.»
«Se lo dice lei, mi fa molto piacere perché insieme vengo ricordato anch’io. Le dirò che sono sempre stato scettico sui metodi d’insegnamento che definirei “teutonici” intendo quelli a base prevalente di regole, formule e numeri da ingurgitare come un atto di fede. Tutto questo corollario di nozioni può benissimo essere assimilato anche, e meglio, attraverso attività piacevoli. Perché mai, ad esempio, uno sciroppo per la tosse dev’essere per forza repellente e non invece avere il colore ed il gusto delle fragole?»
«Paragone azzeccato! Questo è un buon espediente delle industrie farmaceutiche già proposto da Lucrezio e da Torquato Tasso a proposito degli amari succhi benevoli mascherati dalla dolcezza del miele. Lo fanno per meglio piazzare i loro prodotti e facilitare le cure pediatriche. Però c’è nei giovani un organo più importante dei polmoni da tenere in considerazione: il cervello ed il suo potenziale di apprendimento. Ma mi sa che non ha avuto molti emuli proseliti nel suo metodo d’insegnamento. Scusi… ma vedo un po’ come vanno le cose nelle scuole anche adesso.»
«Ravviso una vena di pessimismo e di sfiducia nell’odierno corpo docente. Su cosa si basa questa critica?»
«Pratica constatazione: lo rilevo dalla frequenza del mio utilizzo. Non è certo per l’intrinseca vitrea fragilità che mi lasciano per mesi, se non anni, nello scaffale avvolto nella carta dell’imballaggio o in una scatoletta del vostro pratico polistirolo. Semplicemente nelle scuole non si fanno abbastanza esperimenti. Molti docenti -mi consenta il gioco di parole- non trovano il tempo di “perdere tempo” con le pratiche dimostrazioni.»
«Per ignavia didattica?»
«Com’è diplomatico nel parlare lei! Io, che sono una creatura del XVII secolo, oso dire schiettamente che o non hanno voglia di cimentarsi o non ne sono capaci! Più sfortunato di me è l’elettroscopio a foglioline d’oro: proprio nessuno lo utilizza.»
«Provo a scusarli: nella nostra era, oltre alla didattica a distanza conosciamo la realtà virtuale e devo ammettere che ci sono pregevoli presentazioni youTube…»
«Un conto è vedere ed un conto è provarci e soprattutto permettere che siano i ragazzi a toccare con mano.»
«Lasciamo perdere queste polemiche sulla scuola. Per deontologia d’intervistatore, mi sento in dovere di chiederle di spiegare al mio pubblico perché un tempo lei si chiamasse Ludione.»
«Lo faccio molto volentieri, anche per dimostrare a quelli che temono di
incamminarsi su un percorso poco culturale che con me si possono fare collegamenti a nozioni fisiche ma anche a questioni linguistiche. Bisogna rifarsi al tempo in cui anche la divulgazione scientifica avveniva in latino, la lingua universale, come per voi ora è l’inglese. L’etimologia ci fa risalire a ludionem che nel teatro era l’attore e nelle piazze il giocoliere: da ludus = gioco, scherzo, recita.»
«Il suo creatore le attribuisce una valenza apparente però. Colui che la manipola è il vero giocoliere, ma facendolo fuori dall’acqua e dal contenitore dove avviene la scena, dà l’impressione che sia proprio lei ad agire di propria iniziativa o, al massimo, ad accondiscendere alla volontà altrui.»
«Esatto. Ricordo un pubblico di bimbi seduti in cerchio sul pavimento con
l’insegnante che sembrava supplicarmi in rima: “Diavolino meraviglia, scendi giù nella bottiglia!” ed io scendevo, risalivo o mi bloccavo a comando. Ho apprezzato la tecnica per attirare l’attenzione e le ipotesi che si facevano nel mentre. Ma anche il superamento della spettacolarità in sé, a partire dalla tiritera che non è ingrediente indispensabile alla riuscita dell’esibizione.»
«Vedo che mi ha spiato da vicino. Allora ricorderà anche quella volta che Luisella, tra il serio ed il faceto, chiedeva al compagno in difficoltà: “Ma tu gliel’hai detta la formula magica?»
«Certamente e le dirò che, se avessi potuto modificare la mia vitrea espressione, avrei sorriso anch’io.»
«Al di là dell’aspetto ludico, potrebbe dirci perché mai sia stato realizzato? Nei circoli culturali ante litteram ebbe un notevole successo. La ragione non può solo consistere nel piacevole passatempo.»
«Certo che no. Come accennato prima, io posso dire di concentrare in me scoperte di più d’uno scienziato. Però, insisto, non trascuriamo la piacevolezza dell’esperimento. Proprio a tal proposito ci sono testimonianze scritte del mio vero ideatore, Raffaello Magiotti.»
«Vogliamo dire ben chiaro ai lettori che il famoso diavoletto non è stato concepito da Cartesio?»
«Sì. È un dovere nei confronti della storia del progresso riconoscerne il merito ad uno dei promotori del metodo scientifico di Galileo, con il quale era in corrispondenza.»
«Perché sappiamo così poco di lui?»
«Quotatissimo (pensi che se lo contesero l’Università di Pisa e la Biblioteca
Vaticana), morì di peste e le carte dei suoi studi non ancora pubblicate furono
distrutte con il fuoco per limitare il contagio.»
«Prima però lei ha fatto riferimento a testimonianze scritte. La sua descrizione è antecedente alla combustione purificatrice?»
«Per l’appunto sì. Come già aveva fatto Galileo dedicando la scoperta di nuovi corpi celesti ai Medici, fortunatamente anche Raffaello Magiotti indirizzò nel 1648 un trattato al suo potente protettore e futuro cardinale Leopoldo de’ Medici. L’argomento è l’impossibilità di comprimere l’acqua. Ma molto interessante è il sottotitolo in cui dichiara di servirsi di ”vari scherzi in occasion d’altri problemi curiosi”. Il gioco è parte integrante del suo criterio di divulgazione degli studi sull’idraulica.»
«Ma allora, perché continua ad essere per tutti il diavoletto di Cartesio e non di Magiotti?»
«Vede, Galileo era morto da pochi anni e Pascal, che certamente venne a conoscenza dei suoi studi e “scherzi” prima di formulare il suo celebre principio, ancora era un genio emergente. La figura più carismatica vivente allora era Cartesio. Fu un gesto di devozione in onore del grande pensatore. En passant, le dirò, che alla morte di questi, un sentimento di stizza a momenti mi assalì per le condizioni in cui avvenne. A differenza dell’infezione fatale toccata al Magiotti, Cartesio morì di polmonite contratta, dovendo uscire di casa nelle ore più fredde, per insegnar filosofia alla regina Cristina di Svezia alle cinque del mattino!»
«Avesse avuto un cuore per i sentimenti, capirei la sua indignazione. Torniamo alla sua struttura vuota, un esoscheletro che racchiude solo un po’ d’aria.»
«Proprio questa è determinante alla riuscita dell’esperimento, assai più dell’acqua che mi circonda.»
«Pare incredibile…»
«A differenza dell’aria che può essere compressa (pensi alle bombole dei sub o alle ruote delle biciclette) l’acqua è un fluido praticamente incomprimibile. Esercitando una pressione in qualsiasi punto di un liquido chiuso in un contenitore, tale pressione viene trasmessa in ogni suo punto. Sulla legge poi formulata da Pascal si basa il funzionamento dei freni della sua auto, dei martinetti sollevatori, delle presse industriali. E tutto questo dall’intuizione del mio ideatore Magiotti!»
«Dunque la pressione delle dita sulla bottiglia di plastica comprime l’aria nel suo pancino, aumentando lo spazio disponibile all’ingresso dell’acqua, e poi?»
«Il mio peso resta invariato, invece quello del volume del liquido che l’aria spostava fuori di me, questo sì diminuisce e perciò io affondo. Sa perché?»
«Perché le viene a mancare un po’ della spinta di Archimede. Allentando la pressione esterna, l’aria si espande di nuovo espellendo forse un millilitro d’acqua da un forellino di sotto…»
«Ed io torno su, pronto a riprendere la discesa a comando. Ma non è curioso di saper perché mi chiamano diavoletto? So che in una scuola gestita da suore lei ha portato una mia versione a foggia di angioletto.»
«Verissimo, per… par condicio. Però le implicazioni scientifiche erano identiche. Ci spieghi dunque l’origine del nome.»
«Per via della mia forma classica che è quella di bolla di vetro soffiato molto
allungata che finisce con un peduncolo troncato che funge da coda e nasconde un forellino. Con le pinze dal mio capo, mentre il vetro era ancora malleabile, hanno fatto spuntare due cornetti, molto più leggeri e più facili da realizzare delle ali di plastica che ha appiccicato al cilindro del suo angioletto. Tenga conto che Magiotti era un sacerdote e con Evangelista Torricelli era ammesso alla presenza di papa Urbano VIII nelle dotte conversazioni dopo pranzo.»
«Direi che lei fungeva anche un po’ da scherzoso esorcismo; se poi l’acqua era anche benedetta…»
«Questo no. Piuttosto lei non può immaginare la fortuna che avete voi moderni a disporre di bottiglie di plastica con tappo a vite da cui non sfugge nemmeno una bollicina delle bibite gassate! Ai suoi tempi, Magiotti e dopo di lui i professori di fisica, prima di poter disporre di membrane elastiche artificiali su cui esercitare la pressione, erano costretti a ricorrere a budelli e vesciche di animali macellati da tendere e fissare sull’orlo di contenitori di vetro. L’esperimento doveva essere allestito al momento, mentre le membrane erano ancora fresche e prima che imputridissero, inoltre bisognava anche superare una certa sensazione di schifo…Allora sì che i docenti dimostravano doti di eroismo!»
«Noto che l’intenzione polemica non l’ha abbandonata. Sono contento di aver potuto intervistarla anche perché a mezzo suo ho avuto modo di fare ancora un po’ di divulgazione scientifica. Dopo il suo incontro, dall’Agenzia delle Interviste Impossibili, posso aspettarmi veramente di tutto!»