TALVOLTA UNA MASCHERA DICE PIÙ COSE DI UN VOLTO di Letizia Gariglio
«Talvolta una maschera dice più cose di un volto», affermava Oscar Wilde. In questi tempi sul nostro volto applichiamo un finto volto. Lo scopo non è evitare di essere riconosciuti, nessuno di noi (o quasi) è contento di rinunciare alla propria identità, ciascuno accetta di applicare il diaframma imposto accompagnando al gesto una dose di superstiziosa speranza, diversa per ognuno, di preservare la salute personale; qualcuno più virtuoso si vanta di voler preservare anche la salute degli altri. Riponiamo nella attuale maschera l’aspettativa che il virus tanto temuto la veda, la riconosca, se ne allontani spaventato. Noi sappiamo in modo scientificamente provato, e dunque in modo razionale, che non può proteggerci più di quanto potrebbe fare una gratella nel ripararci dall’acqua, però una parte di noi, del tutto irrazionale, crede, o finge di credere, che davvero il camuffamento salvaguardi la nostra incolumità. Un fragile, sottile dubbio mi percorre: che anche questa maschera possieda un fondo, un residuo, un’impronta di qualche rituale magico? Forse si propone, come le maschere gorgoniche di valore apotropaico, di spaventare e allontanare le presenze umane o demoniache indesiderate.
Certamente uno fra gli aspetti più belli della figura umana, quello del sorriso, è definitivamente penalizzato. Konrad Lorenz ci ha spiegato quanto il sorriso sia stato importante nell’evoluzione dell’umanità, con la sua funzione di ritualizzazione dell’aggressività: si mostrano pur sempre i denti! In ogni caso, anche quando sorridiamo in modo più discreto, attraverso il sorriso comunichiamo qualcosa. E per farlo abbiamo bisogno di molti muscoli, coinvolgiamo le guance, le labbra, per confermare una condizione relazionale, per rivelare uno stato d’animo, per trasmettere ad altri il nostro compiacimento, per offrire disponibilità e cordialità, per incoraggiare, ma anche per ammettere la nostra timidezza, per suggerire un quid di ironia, per introdurre dubbio o imbarazzo. Dietro la mascherina tutto questo va perduto.
C’è un ulteriore aspetto preoccupante, legato alla respirazione, di tipo fisico e insieme spirituale. “Prendendo” aria alimentiamo il nostro apparato respiratorio, che si connette a quello nervoso, in un tutto organico.Le pratiche yogiche della respirazione profonda hanno lo scopo di favorire una migliore ossigenazione a livello fisico, che produce energia nonché benefici effetti su sistemi diversi, compreso quello linfatico, aiutando a calmare, a eliminare stress e ansia. Chiaramente sul piano puramente fisico la mascherina procura dispnea, dal momento che la protezione si riempie in fretta e trattiene anidride carbonica. Ma ha una valenza negativa anche sul piano spirituale, di fatto bloccando un atto respiratorio pieno. In un’ottica non materialistica, infatti, il respiro è il tramite fra il piano del corpo fisico e quello, più spirituale, dei corpi sottili. Dare valenza negativa a una corretta respirazione, di fatto impedendola, umilia profondamente la “via dell’armonia”, come ben sanno tutti coloro che attuano pratiche di meditazione con tecniche di respirazione, le quali hanno lo scopo di far assorbire prana e energia vitale: la sorgente principale di prana è l’aria.
A parte ciò dobbiamo ammettere che la “mascherina” riesce benissimo nella sua azione di dividere, distanziare, separare, disgiungere… fino al temuto risultato finale del frammentare, disunire, disgregare. Sento con raccapriccio che questa roba, di cui forse vogliamo sminuire il potere chiamandola “mascherina”, non ci fornisce, malgrado il diminutivo, una qualità ulteriore di espressione, ma ce la toglie: se non nasce come mezzo di nascondimento, certo lo diventa.
Qualcuno (pochini) avverte il pericolo della distanza, che porta inevitabilmente al distacco, alla considerazione dell’altro come soggetto sempre più indesiderabile, qualcosa da tenersi lontano da sé. Molti, sempre più egocentrici, se ne fregano di pensare alcunché e badano alla salvaguardia della propria pelle: andrebbero in giro anche con una maschera da apicultore o magari con un più efficiente modello anti-gas. Chi emana sostanze venefiche? Gli altri, naturalmente, tutti gli altri, compresi – notate la sottigliezza – i membri della stessa famiglia.
A parte gli esagerati, gli altri indossano la mascherina in modo negligente, tenendola appesa sul mento come una novella barbetta, spostandola un po’ su e un po’ giù tra naso e bocca. Posseggo un libro dove sono raffigurati in tempo di guerra cavalli e cani dotati di mascherina. Che ne dite? L’idea è da prendersi in considerazione? … magari per gli animali domestici.
Mentre distanziamo, tuttavia, nelle parole si insinua il contagio del “bipensiero” e in modo pandemico si fa strada nelle persone l’accettazione del nuovo significato che si dà al concetto di “distanziamento”, che si ingigantisce di valore a mano a mano che la parola viene ripetuta, e così si distanzierà sempre di più: a scuola, sul lavoro, nella vita associativa e sportiva, nelle arti e nello spettacolo…chissà perché solo sui bus non si riuscirà a distanziare. Nel distanziamento siamo ampiamente aiutati dalle campagne mediatiche di allarmismo che danno manforte alla diffusione della paura, bloccando le spinte vitali di ciascuno: la spinta vitale vuole coraggio.
Ho letto con attenzione la “Dichiarazione di Great Barrington”, redatta il 4 ottobre 2020 da un gruppo di epidemiologi preoccupati per gli effetti che nel mondo sta producendo il diffuso distanziamento. Il gruppo di studiosi che ha firmato il documento è piuttosto preoccupato circa gli affetti dannosi che producono i blocchi sulla salute fisica e mentale e consiglia un approccio diverso alla pandemia di Covid, proponendo di sostituire le misure attuali che vengono prese in generale dai Governi dei diversi Stati, sostituendole da forme di “protezione focalizzata”. Sono convinti che: “Le attuali politiche di blocco stanno producendo effetti devastanti sulla vita pubblica a breve e lungo periodo”. E ancora: “(La trascuratezza verso altre malattie) porterà negli anni a venire un aumento della mortalità. Saranno i ceti inferiori e i giovani a pagare il prezzo più alto”.
Intanto si compie la manipolazione per mezzo delle parole: se qualcosa è utile a noi stessi, come per esempio il nuovo concetto di “distanziamento” in grado di salvarci da rovina e morte, la parola “distanziamento” finirà con il possedere, accanto al vecchio significato di divisione anche quello nuovo di pratica salvifica, e presto noi abbandoneremo la percezione negativa che prima accompagnava la parola, per affiancarla in in primo tempo a una sensazione positiva: verrà poi un momento in cui dimenticheremo la visione vecchia e predominerà solo quella nuova.
Intanto i mass-media accreditati ( i mainstream) faranno rimbalzare le parole di cui ci stiamo occupando. A ogni giro di giostra televisivo su morti e feriti (mai i sani) la manipolazione delle parole si rinvigorisce, le parole si distorcono dal loro significato originario, finiscono con il nutrirsi del significato opposto.
Se parole come “condivisione”, “relazione”, “congiungimento” acquisiranno valore sempre più negativo, allora forse qualcuno sta facendo un lavoro accurato nel manipolare la nostra psiche.
Ma siccome nel bipensiero (su cui mi sono dilungata in un articolo precedente), possono coesistere due realtà in piena contrapposizione fra loro, ecco che possiamo gettarci sul web, dove grazie alla “neolingua” le nostre condivisioni saranno gradite, soprattutto da perfetti sconosciuti cui abbiamo tributato la nostra amicizia. E così finalmente potremo virtualmente socializzare, lasciando trionfare il nostro (vero) narcisismo.