LA VOCE IMPAZIENTE. VIAGGIO NELLA POESIA (7, 8, 9, 10) di Grazia Valente
7. La ragione di ogni poesia
Ci pare comunque che al fondo di ogni poesia, vorremmo dire la ragione di ogni poesia, sia la percezione di un dolore, lontano o vicino, comunque ancora presente, sia pure a tratti. Che ha bisogno soltanto di essere evocato. Questo dolore è simile a un vomere che smuove ricordi, facendo riaffiorare antiche radici o, piuttosto, antiche cicatrici.
8. La radice del dolore
ascolta!
sembra il pianto lontano
di un bambino
ogni poeta lo sente
nella culla della mente
In questo caso il dolore, qui raffigurato come un lontano pianto infantile, vuole evidenziare un tipo di sofferenza che potremmo definire primordiale, ossia connaturata all’essere umano, ineluttabile e, in un certo senso, inspiegabile, se si vuole restare fuori dall’ambito religioso.
Ma allora, se la radice del dolore è dentro di noi ancora prima della nostra nascita, davvero non ci rimane che il pianto. Ma è un pianto che chiede ascolto, così come la poesia stessa, incarnazione del dolore, chiede di essere ascoltata.
9. La verità del poeta
Ma quale disagio può derivare al poeta dal racconto del proprio dolore! Eppure non può rinunciarvi, poiché la poesia è innanzitutto verità. E il poeta deve dirla fino in fondo.
ogni poeta
in fondo
un poco si vergogna
di quel suo assurdo dialogare
con il mondo
dal profondo di ferite richiuse
soltanto in superficie
E mai come oggi – o almeno così ci sembra – la verità raccontata può diventare dialogo assurdo in quanto, fondamentalmente, inutile, dal momento che il mondo non sembra abbia voglia di ascoltare. Ma il poeta deve continuare a dirla, la sua verità, dal momento che “la forza della poesia sta nella sua verità” (Pound).
10. I toni alti nella poesia
E a questa forza non si dovrebbe mai rinunciare. Allora il poeta potrà anche dire sommessamente quelle verità che avranno, tuttavia, la forza di un grido.
quanto più lunga
ti sarà la notte
tanto più alta
si alzerà dal fondo
l’eco del tuo canto
Dal momento che il dolore (ancora lui!), qui raffigurato come una “lunga notte” della vita, è però sublimato dai “toni alti” che il poeta, proprio in quanto sprofondato in questa sofferenza, deve saper trovare, affinché questa si trasformi in poesia. Toni alti che non significano uso della retorica o della declamazione, espedienti esteriori che incidono poco o nulla sulla potenza del verso. Ma liricità limpida, purezza cristallina, di modo che la parola, senza inutili orpelli retorici, nella sua nudità essenziale, possa arrivare direttamente al cuore di chi ascolta.