NEI LABIRINTI DI THOMAS BERNHARD di Letizia Gariglio
Grazia Valente si è inoltrata in un labirinto, uno di quelli “cattivi, non in uno di quelli che ti conducono amorevolmente verso il centro della ricerca, ma uno di quelli che ti confondono sempre più, allontanandoti schizofrenicamente dalla meta che vuoi raggiungere. È il labirinto del pensiero di Thomas Bernhard, drammaturgo, poeta e romanziere di altissimo livello, e uomo infernale.
Valente è stata capace di uscirne viva, affrontando l’esplorazione della figura dell’uomo e dello scrittore e offrendoci così il frutto della sua rivisitazione letteraria.
Il 29 febbraio, insieme con Loris Marchetti, alla S.O.M.S De Amicis di Torino, ha colloquiato del suo libro A proposito di Thomas Bernhard, edito dalla casa editrice torinese Achille e la Tartaruga, nell’ambito degli incontri di Poesia in Progress. Grazia Valente è autrice di poesie e di racconti, di ritratti femminili in forma di collage; è collaboratrice preziosa e costante di Parole in rete. Sulle pagine di Parole in rete ha dapprima pubblicato, una dopo l’altra, tutte le parti del suo saggio, offrendo ai nostri lettori la possibilità di leggere questa ultima sua opera, a partire dal febbraio 2021 (numero 32), fino a settembre 2021 (n. 39), con apporti mensili regolari, successivi uno all’altro.
Nel suo volume, il cui titolo completo è A proposito di Thomas B. Viaggio nel labirinto della scrittura di Thomas Bernhard rivisita i cinque libri che compongono nel loro insieme l’intera autobiografia dell’autore, per arrivare a una profonda comprensione dell’uomo e dello scrittore: entrambi entità di complicato avvicinamento. Infatti, chi abbia frequentato la lettura di Thomas Bernhard ne conosce sia le provocazioni tematiche, sia le sue anomalie umane: personaggio capace di rendersi squisitamente antipatico, scandalosamente provocatorio, in permanente stato di carezzevole quanto astuto feeling con la morte (quanti tentativi di suicidio, almeno stando alle sue narrazioni!), eppure – bisogna pur riconoscerlo – in odore di genialità. Si potrebbe dire che sia la sua vita sia le sue opere disegnino una continua ellissi, la sospensione di qualcos’altro, il rimando di qualcosa che è sotteso alla sua scrittura e a cui la sua vita e le sue opere attendono. La nevrosi distruttiva permea senz’altro i suoi personaggi, soprattutto quelli teatrali: è probabilmente nel teatro che l’autore raggiunge la massima perfezione e anche le sue opere letterarie, in realtà, si avvalgono di un impianto strutturale narrativo proprio del teatro, più che della narrazione sotto forma di racconti o romanzi: per esempio la figura di un narratore esplicito, presente nella sua opera narrativa, è tipica della struttura teatrale.
È certamente la scena ad esaltare la sua preferenza d’autore per il gusto di ritmi linguistici al di fuori di una normalità quotidiana, l’uso del verso, le ossessioni per le ripetizioni linguistiche, le iterazioni tipiche di certi ritmi musicali più che narrativi, ma soprattutto la scena è la situazione narrativa più adatta per esaltare, nei personaggi e nelle situazioni, i caratteri della schizofrenia e dell’assurdo del quotidiano.
Probabilmente istrionico come i suoi personaggi dissacranti, al pari di Caribaldi, suo protagonista delle pièce teatrale Forza dell’abitudine (di cui è impossibile dimenticare la storica messinscena del Gruppo della Rocca negli anni ’70), il quale in qualità di direttore di circo da ventidue anni prova ossessivamente il Quintetto della Trota di Schubert, solo perché un medico glielo ha prescritto come rimedio ai cali di concentrazione, anche T.B. sembra ossessivamente giocare il suo ossessivo gioco con la morte, che in realtà porterà a termine solo per decisione di quest’ultima, alla sua ora stabilita: eppure dal suo gioco personale, oscillante fra il polo destinino e quello del libero arbitrio, e dalla sua lunga sequenza di sofferenze personali, l’autore saprà trarre frutto maturo e consapevole, distillandolo nella sua opera.
Se la narrativa e il teatro esaltano la pericolosità del limen fra vita e morte, sapienza e follia, cosmo e caos, salvezza e autodistruzione, ma in un certo senso filtrano, attraverso l’arte della scrittura, i turbamenti che essi ci provocano, l’esplorazione degli aspetti umani di Thomas Bernhard inquietano oltre misura, sottolineando un destino per alcuni versi molto difficile (la nascita illegittima, la malattia…).
Grazia Valente si è trovata ad affrontare l’impresa della rivisitazione della sua vita materiale e psicologica, a partire dalla fase dell’infanzia dell’autore.
Dice: «Entrare nella testa di Thomas Bernhard non è mai una passeggiata campestre, piuttosto una sequenza di scene apocalittiche che lui si compiace di raffigurare in parossistica successione…»: immagino che unico piccolo aiuto sia stato l’impareggiabile gusto per l’ironia e per il sarcasmo dell’autore stesso.
Ma dopo l’età dell’infanzia le sofferenze di Thomas aumentano ancor più e nel capitolo “Angoscia” esse conducono anche la nostra coraggiosa autrice Valente a desiderare soltanto di allontanarsi e di abbandonare il racconto di un simile dolore, tanto sente insopportabile «il peso del suo mondo interiore e quello del mondo intorno a lui».
Se la scuola, come Thomas afferma, è «un’istituzione per l’annientamento dello spirito», potremmo essere felici della sua liberazione dal ginnasio, ma ecco uno nuovo colpo di teatro nella vita dell’autore, che cerca e trova lavoro nel più sgangherato quartiere della sua città, una specie di anticamera dell’inferno, in una cantina adibita a negozio di alimentari, dove tuttavia l’autore, immerso nella disperazione degli abitanti di quei gironi, i reietti della società, i più poveri fra i poveri, prova una sorta di felicità nello stare a contatto con i più umili, anzi: «L’inferno per lui è diventato la casa, la famiglia… il fine settimana che coincide con il rientro a casa è l’inizio del nuovo inferno, il lavoro è liberazione, a casa vivono in nove in tre stanze», scrive Valente.
Thomas ora è gravemente malato di polmoni ed è costretto a condividere spazi ristretti con altri ammalati anziani, e conduce Grazia, insieme a noi, in questa sorta di incubo senza fine, l’ospedale, cui T.B. dà il nome di trapassatoio, perché quotidianamente il numero dei morti supera quello dei vivi, e poi, giacché, nonostante l’incuria dei medici, lui malgrado tutto rimane vivo, ci porta in visita al sanatorio. Di tutto quel periodo al ragazzo rimane soprattutto il ricordo dei libri letti. Dei medici dirà: «Questi medici che hanno una concezione della medicina completamente degradata a puro commercio».
Grazia lascia Thomas alle soglie della sua guarigione, e lui sa di essere ormai un invalido, non potrà più portare sacchi pesanti come faceva in magazzino, ma non potrà nemmeno più cantare, arte in cui eccelleva… ma ha finalmente scartato l’idea del suicidio. Scriverà di sé: “Io non sono propriamente uno scrittore, solo un mediatore di letteratura».
È morto nel 1989. Chissà se si troverebbe ancora d’accordo con le sue stesse parole: «La morte non deve in alcun modo correggere l’immagine che dell’uomo ci siamo fatti».