TRASLATI di P. P. Roe (Pietro Paolo Capriolo) )
Ha destato la mia attenzione fra Roberto Pasolini che cura su Famiglia Cristiana una rubrica dal titolo insolito: La grammatica della fede. Rievocando (e per non pochi, re-insegnando) argomenti scolastici, egli porta il lettore ad affrontare temi che sembrerebbero non avere attinenza con i lontani giorni trascorsi nelle aule scolastiche.
Voglio anch’io, a modo mio e senza fare la predica, proporre una cosa del genere e trattare dell’uso traslato dei termini nel discorso abituale.
Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario della tragedia del Vajont, ma da decenni la diffusione in altri contesti (politici, economici, temporali…) delle espressioni “A valle” e “A monte” pare sia collegata all’ascolto dei reportages che si alternavano tragicamente nei radiogiornali e nelle cronache-inchiesta che varcavano la soglia dello schermo ad invadere le case di chi nel 1963 già possedeva l’apparecchio TV.
Nel gioco della relazione verbale, facciamo tutti uso abbondante di questo espediente comunicativo per dire o alludere, dando per scontato che il ricevente capisca comunque, perché la consuetudine è talmente diffusa che quasi non se ne può fare a meno. Qualche esempio? Ti cresce il naso, per dare bonariamente del bugiardo; compagna\o della vita per convivente ed amante abituale; forze dell’ordine per i vari organi di polizia; dare una mano nel senso di aiutare…
Alcuni modi di dire sono molto particolari. Per esorcizzare la morte, si allude al passaggio a miglior vita, ma in questo mondo così scristianizzato e dall’incerto futuro economico, l’espressione andrebbe a pennello per significare il raggiungimento della pensione in età non ancora decrepita. Convolare alle nozze richiama il volo di una coppia di colombi che, da sempre, simboleggiano gli innamorati.
E poi: abbiccì dell’economia e, giù giù per l’alfabeto, fino a zoccolo duro dell’elettorato. Innumerevoli, nonché d’ogni tipo e gradazione, i traslati per colorire, enfatizzare, eufemizzare le situazioni che si vogliono significare, purché tra comunicatore e ricevente ci sia l’esperienza d’una valenza comune. Inutile definire la brevità di un evento dicendo che dura da Natale a Santo Stefano presso una comunità che ignori il calendario cristiano, oppure dire ad un esquimese che un certo provvedimento gli può toglier le castagne dal fuoco.
La nipotina che chiede «Ma è un bambino?» riferendosi ad un cucciolo di pipistrello rinvenuto a sorpresa all’ombra di un innaffiatoio e certamente caduto dalla tana sovrastante, fa un salto di specie significativo e non indifferente. Però con i suoi quattro anni appena si è saputa esprimere bene, anticipando anche una premura protettiva che verso gli adulti non avrebbe manifestato. Mi ha poi colpito molto che, pur avendo visto volare di sera i pipistrelli, non lo abbia chiamato pulcino, senza sapere che essi sono mammiferi e non uccelli.
«Che bel topolino!» esclamiamo alla vista di un neonato nel passeggino, assai vicini all’idea del simpatico personaggio disneyano e lontani da quella dei destinatari di trappole ed esche avvelenate.
Il termine traslazione, così tout court, lo incontriamo a sorpresa nel linguaggio finanziario (Traslazione delle imposte), più propriamente in quello matematico con le figure geometriche nello spazio, ma è soprattutto nella linguistica che impera come
figura retorica di antichissima usanza, strumento di comunicazione che i greci chiamavano tròpos, con il valore di volgere, usare diversamente dal consueto.
Detto questo, non possiamo ignorare come uno stesso termine possa essere usato con aspettative antitetiche: una persona spietata è definita tigre, ma tutti abbiamo avuto simpatia per Sandokan, la “tigre” della Malesia di salgariana memoria.
Un soprannome può sostituire il nome autentico: sentendo nominare Dzugasvili, pochissimi riescono a identificare il sovietico “uomo d’acciaio” o Stalin che dir si voglia. Curioso poi che in quegli stessi anni, dalla collaborazione di Jerry Siegel e Joe Shuster, un altro “ragazzo d’acciaio” abbia nell’Occidente principiato ad incarnare gli ideali di generosa solidarietà: mi riferisco al nostro Nembo Kid, più noto nel mondo come Superman e che, oltretutto, è sopravvissuto a quell’altro nel tempo e nelle simpatie della gente.
Per inciso, sulla figura di Iosif Stalin, lo scrittore Giovannino Guareschi ed il regista Carmine Gallone hanno ricavato quella molto più bonaria di Peppone, il Giuseppe Bottazzi, sindaco del paesello di don Camillo nella Bassa parmense, che perfino nella foggia dei baffi voleva incarnare il simbolo del potere oltre cortina.
Sconfinando, ma poi non troppo, mi va di dire che addirittura in inglese traduzione si dice translation.
In questa anomala estate 2023, due casi di traslati hanno fatto molto notizia.
Uno è l’uso di transumanza riferito all’arrivo di esseri umani dall’Africa sulle nostre coste. Forse (e lo dico sperando non fosse volutamente troppo ingiurioso) voleva essere una variante della paventata invasione e della sostituzione etnica, espressioni abbondantemente circolate in precedenza. Non commento più di tanto ed oltre quanto è stato già fatto. Mi limito a lamentare l’imbarbarimento dell’uso: no, gli scafisti non sono paragonabili ai pastori, né i trasportati sui barconi agli ovini e bovini per «l’erbal fiume silente » dannunziano. Proprio si è dimenticata la dignità umana!
L’altro caso, quasi tragicomico, si riferisce al referto scritto della medicazione ad un gluteo di giovane donna, a causa del morso di un «cane buongustaio». Il termine di solito si dà a chi apprezza la buona cucina. Voglio pensare che l’intento fosse quello di alleviare la tensione e l’imbarazzo della vittima, ma poteva bastare la battuta orale. Se ci mettiamo però nei panni -pardon- nella pelliccia del cane mordace, potremmo supporre che la sua intenzione fosse proprio quella di non voler propriamente addentare un’ossuta caviglia, ma qualcosa di più gratificante “gastronomicamente” parlando: un’abbondante porzione di ciccia, senza implicazioni sexy.
Per finire, cito l’asservimento del linguaggio forense a lusingare don Rodrigo da parte del dottor Azzeccagarbugli nelle funzioni di improvvisato sommelier: «Dico, proferisco e sentenzio che questo è l’Olivares de’ vini» (cap. V). L’apprezzamento si comprende solo avendo presente le righe che precedono questa inaspettata richiesta del signorotto: vi si diceva appunto che il duca d’Olivares era confidente (e, aggiungo io, per vent’anni primo ministro) di Filippo IV di Spagna. In assoluto, quello era per lui il miglior vino.
Chi volesse continuare a cercare traslati ed usi impropri/arbitrari dei termini, non ha che l’imbarazzo della scelta. Ad esempio, nell’ambito sportivo: amazzone, centauro, ala destra… In temuti frangenti: talpa, lupo solitario, cellula dormiente…