PAROLE.VARIAZIONI (23, 24, 25) di Grazia Valente
23. Parole in maschera
Spesso le parole nascondono un altro significato, è il nostro corpo invece a non saper mentire. L’abbiamo sentito dire in televisione, da un giornalista, a proposito di un vecchio caso di cronaca nera. E crediamo sia vero. Il problema è che noi ci muoviamo in mezzo alle parole e non è facile decifrare il cosiddetto linguaggio del corpo, il solo che dica la verità. E questo, ovviamente, per quanto riguarda le parole che vengono dette. Per le altre, quelle che vengono scritte, non abbiamo nessun linguaggio del corpo ad aiutarci. In questo ginepraio fatto di menzogne spacciate per verità – in maggioranza ? – e di verità, a volte parziali, tanto per complicare ulteriormente le cose, abbiamo sempre la sensazione di stare camminando su di un terreno cosparso di mine, di trappole, di trabocchetti.
Ma, alla fine, a che cosa ci serve davvero conoscere la verità delle cose? Spesso è solo fonte di sofferenza, di delusione, di disincanto. E comunque conoscere la verità può servire se il disvelamento avviene in tempo utile per riuscire a modificare la realtà. Se la conoscenza della verità avviene dopo anni, quando ormai il corso degli eventi costruiti sulla menzogna è divenuto realtà immodificabile, allora la verità perde tutta la sua efficacia, diventa innocua e non interessa più nessuno.
La verità è rivoluzionaria, scriveva Antonio Gramsci: un concetto che il trascorrere del tempo non ha alterato, dal momento che la menzogna costituisce il tessuto connettivo della nostra società, una menzogna che si avvale, per continuare ad esistere, anche del nostro piccolo apporto di singoli individui. Una menzogna che viene cementata dai nostri silenzi. Sì, lo sappiamo: non stiamo dicendo niente di nuovo.
24. Parole assemblate
E’ un grande privilegio, per noi esseri umani, quello di poter disporre di un linguaggio, una modalità espressiva che ci consente di comunicare gli uni con gli altri. Un linguaggio universale sarebbe certamente portatore di una migliore qualità della vita, a partire dai rapporti interpersonali. Ma la strada in questo senso appare ancora molto lunga. Eppure, nonostante questo privilegio, usiamo le parole con noncuranza, utili soltanto a riempire dei vuoti. Le assembliamo, piuttosto che costruire, grazie a loro, pensieri interessanti, discorsi interessanti, scritti interessanti, fino a quando le nostre parole assemblate si trasformano in rumore di fondo, niente più che dei suoni disarmonici, se non addirittura vere e proprie armi usate per ferire.
Fateci caso: se provate a inserirvi con un pensiero soltanto leggermente diverso in una conversazione qualsiasi, di quelle che non contengono assolutamente niente di memorabile, un tessuto verbale di luoghi comuni, quelli che Nanni Moretti chiama i discorsi da autobus, si alza tra voi e l’interlocutore un muro di ostilità, una barriera volta a bloccare qualsiasi tentativo di portare il discorso su di un piano meno banale. E’ il cosiddetto pensiero unico che è impervio cercare di mettere in minoranza.
Lo sappiamo bene, le parole interessanti, i discorsi interessanti, gli scritti interessanti esistono, ma per scoprirli bisogna farsi strada in un guazzabuglio di parole elargite a profusione dai distributori automatici che ben conosciamo. Quante idiozie siamo in grado di sopportare, senza poterci difendere, senza osare ribellarci? Un giorno tutto questo esploderà nelle nostre teste, ci sono già dei segnali, molte persone con le quali ci accade di comunicare sono vere e proprie polveriere. Stiamo esagerando? Siamo diventati apocalittici? O siamo semplicemente dei veggenti, nostro malgrado?
25. Parole speciali
Quante parole pronunciamo, nell’arco di una giornata? E con quante parole ci confrontiamo, pronunciate da altri? Un numero certamente astronomico. Ma, di questo numero astronomico di parole, quante sono parole speciali, vale a dire parole che non seguono pedestremente il solco della normalità, quali ad esempio: buongiorno, come va? Queste sono senza dubbio le parole che pronunciamo di più, in assoluto. Migliaia, probabilmente milioni di volte. Parole del vivere quotidiano, una sorta di codice dei rapporti interpersonali, il pilota automatico del linguaggio, che non ci impegna, non ci compromette. Proviamo adesso a usare parole semplici e nello stesso tempo speciali, vale a dire pensate e pronunciate appositamente per il nostro interlocutore, parole come ad esempio: mi ha fatto molto piacere incontrarti. Le parole speciali sono parole di attenzione nei confronti dell’altro. Non sono parole di cortesia false, insincere, pronunciate per accattivarsi simpatia. Al contrario, sono parole di verità. Molte volte ci sentiamo circondati da parole aggressive, pronunciate per ferire, diremmo quasi per annientare l’altro, per affermare una supremazia fasulla, che denota al contrario impotenza e frustrazione.
Dovremmo capire tutti quanta importanza possiamo dare alle parole che diciamo ogni giorno, in ogni momento, rivolte alle persone che incontriamo. piccoli o grandi incontri, incontri fuggevoli o incontri più duraturi.
Scrive lo psicoanalista Massimo Recalcati: “il dono della parola ci dovrebbe indurre al dialogo e al riconoscimento reciproco. E’, in fondo, quello che ci differenzia dal mondo animale