VIAGGIO DI UN TARLO IN UN’OTTAVA racconto di Letizia Gariglio (Quinta Parte)
Il cuore cominciò a battergli in petto forsennatamente, perché sentiva che la solita famiglia si stava di nuovo avvicinando a lui. Le volte precedenti erano per lui state una vera disgrazia: gli avevano rovesciato la cola addosso, rendendolo colloso e impiastricciato, avevano minacciato di cavarlo dalla sua galleria con un uncino, avevano provocato una vibrazione sonora così potente e fastidiosa da sradicarlo dal suo mondo, avevano provocato un funesto uragano che l’aveva trascinato in un luogo sconosciuto.
«Che cosa accadrà ora?»
La madre dello zuccheroso parlava con qualcuno, un uomo, avvicinandosi a lui. Ecco di nuovo il cielo scoperto, e poi:
«Ho scoperto che all’interno del pianoforte ci sono dei tarli. Mi sono accorta che sui martelletti si vedono delle gallerie con dei piccoli fori; so che quando si vedono i fori il danno è già avvenuto, l’insetto è già uscito fuori. Se non sto attenta in breve tempo avrò tutto il pianoforte infestato dai tarli!»
«Ha ragione a preoccuparsi, signora. E ha fatto bene a chiamare la nostra ditta di disinfestazione: siamo i migliori sul campo. Nessun tarlo sfugge alla morte quando arriviamo noi».
Al sentire queste parole Carlo fu preso dal terrore.
«Non ce l’avranno con me? O santo cielo, come è possibile che mi considerino un nemico: io sono nato qui, questa è casa mia, il mio paese, la mia patria; che cosa ho mai fatto io di male?», si disse fra sé, colto da una immensa paura. Era indeciso se nascondersi come meglio poteva o farsi avanti, palesarsi ai due umani che stavano parlando di lui, per mostrare loro che lui era innocuo, non era un loro nemico. Siccome Carlo era un tipo coraggioso optò per la seconda scelta. E impavidamente si fece avanti. Non per attaccare, naturalmente: solo per evidenziare la propria totale, definitiva innocenza. Stava addirittura per mettere le “mani in alto” quando ebbe un presentimento. Questa intuizione gli salvò la vita. Anziché alzare le èlitre le portò verso il basso, racchiudendole più che poteva attorno all’addome. Mentre l’uomo stava calando le sue pesanti manacce callose su di lui, come una mannaia, per mettere fine alla sua vita, lui si strinse tutto. Senza pensarci Carlo si buttò alla sua destra e quella profonda apertura, quella caverna da cui aveva tanto temuto di essere inghiottito, lo accolse mentre precipitava.
Quanto fosse profonda la spelonca, quanto lungo il suo salto verso il basso, non avrebbe mai potuto calcolarlo, perché mentre precipitava si sentì venire meno.
«Non puoi abbandonarti alla morte», borbottò una voce dentro di lui. Carlo si lasciò scivolare, ma cercò di non perdere coscienza. Le voci delle persone ora erano più attutite, ma poteva ancora percepirle dal fondo del precipizio:
«Ha visto? Ha visto? Ne avevo quasi acchiappato uno; eh, ma se ce n’è uno significa che sono a decine: bisogna eliminarli senza pietà, altrimenti sa che fine farà il suo pianoforte?», diceva l’uomo.
La donna confermava: «Non intendo badare a spese: mi salvi il pianoforte».
«Io non morirò, io non morirò», si ripeteva intanto Carlo, come una litania. Lo faceva per darsi coraggio, ma anche perché la sua mente non fosse sopraffatta da pensieri negativi, Sentiva che se si fosse abbandonato al pensiero della morte, ciò sarebbe davvero potuto accadere. Lui invece avrebbe pensato di essere invulnerabile.
«Ce la farò, verrò fuori di qui», si disse, «io vivrò. Io troverò il modo di risalire da questo baratro».
«Dovrò controllare i vari pezzi del pianoforte, a uno a uno», disse l’uomo che ce l’aveva con Carlo. Tutti i fori saranno messi allo scoperto, saranno trattati, disinfestati, curati, richiusi, e lei avrà di nuovo il suo pianoforte come nuovo», affermò l’uomo.
La donna, con un sospiro di sollievo, si stava allontanando verso la porta, per congedare il restauratore di mobili antichi.