INCONTRO IMPOSSIBILE A FERRARA di Pietro Paolo Capriolo
«Buon pomeriggio, dottore. Sono lieto di incontrarla per ben due motivi. Con lei non ho bisogno di ricorrere all’applicazione che abitualmente mi occorre per conversare con personaggi d’altra cultura ed epoca storica, perché capisce benissimo l’italiano e poi sono altrettanto felice che l’Agenzia mi abbia permesso, una volta tanto, di scegliere io il personaggio da intervistare.»
«Allora sarò ben lieto anch’io di mettermi a sua disposizione.»
«Per prima cosa, come la debbo chiamare? Von Hohenheim ? »
«No, per carità! Mi chiami semplicemente Paracelso. Nella natia Svizzera sono registrato nel “libro delle anime” (l’odierno registro parrocchiale) anche con i nomi Filippo e Aureolo. Col tempo, un po’ grazie alla professione di famiglia, la prevalenza andò a Paracelso, nome che richiama quello del celebre medico latino del primo secolo dopo Cristo: Aulo Cornelio Celso. »
«Però ebbe anche il soprannome di Bombastik, in virtù della sua fama di taumaturgo.»
«Beh, non mi dispiacque di certo. Anche a voi succede: di qualche ricetta, più culinaria che medica in verità, non esitate ad esclamare che è una vera bomba!
«Una buona dose di gigioneria, ben giustificata d’altronde. Ai suoi tempi la professione medica (o dovrei dire: l’arte?) ancora non era libera da secolari credenze ed ignoranza nei campi dell’anatomia e della patologia. Cosicché ogni innovazione e ricerca aveva un po’ i crismi del misterioso addentrarsi nel mondo dell’occulto. »
«D’altra parte, le conoscenze di allora si basavano su tante parole (stavo per dire frottole) di filosofi antichi e sul preconcetto di autorità. C’erano sì le pratiche chirurgiche che, dai tempi dei gladiatori ed anche prima, erano esercitate da valenti medici sui corpi martoriati in combattimento. Le armi da fuoco che si diffusero a partire dal XIV secolo provocarono ferite necessarie di amputazioni come non s’era mai visto prima. Una cosa devastante. Per questo ho preferito non essere soltanto chirurgo, ma dedicarmi prevalentemente alla medicina interna.»
«Non potendosi fare ancora liberamente regolari dissezioni del corpo umano, solo l’analogia con gli animali e l’attento esame delle ossa provenienti dai cimiteri vi era di supporto. Nei paesi di provincia, l’arte del cerusico spesso era demandata a barbieri autorizzati ad incidere pustole putrescenti, cauterizzare ferite, estrarre denti…»
«Quelli eran proprio cavadenti ed aggiustatori di ossa rotte che spesso facevano più danno che bene! Il dolore e la disperazione inducono i malati a sperimentare di tutto, anche ad ingurgitare intrugli di fattucchiere.»
«In quanto ad intrugli, anche lei però…»
«No, la fermo subito. Le mie non erano pozioni magiche, ma veri preparati farmacologici. Un po’ azzardati, lo ammetto, ma da calunnie di avvelenamento ne son sempre venuto fuori. »
«Partendo dall’osservazione che talune erbe, radici e cortecce giovassero alla salute ed inducessero alla guarigione, senza dubbio, deve aver pensato che le piante stesse traessero dal suolo gli ingredienti benefici.»
«Già, proprio così. In quanto agli intrugli la invito a fare un’altra riflessione. Lei sa bene che il preparato galenico uscito dalla “farmacia” di un convento poteva avere gli stessi effetti salutari di un decotto preparato da una praticona di paese che condensava in sé l’esperienza di generazioni di donne che si tramandavano il sapere da generazioni: nonna, figlia e nipote. La grossa difformità stava nel rischio della pratica. A differenza del frate cultore di erboristeria, la medichessa popolare rischiava il rogo con l’accusa di stregoneria. Io questo rischio non l’ho mai corso. »
«Già, perché lei si è regolarmente laureato in medicina nel 1516, presso l’Università di Ferrara, una delle più antiche e fondata su concessione di papa Bonifacio IX, nel 1391. »
«Non per vantarmi, ma se consulta quel marchingegno che chiamate smartphone, vedrà che tra i laureati illustri di quell’Università io sono al secondo posto, solo dopo Copernico che terminò gli studi tredici anni prima di me. »
«Non ne dubito e non per nulla il Senato Accademico la enumera nei fattori di vanto. Si dice però che non abbia seguito troppo le indicazioni della Facoltà, quelle intendo che consigliavano di non allontanarsi dalla tradizione. »
«Ma così non c’è progresso. A me si deve la nuova forma di medicina, la iatrochimica, basata sulla cura delle malattie attraverso l’uso di sostanze minerali. Sì, ora non è più praticata, ma ha fatto strada ad altre scoperte; è stata a suo modo una rivoluzione. Eh, siamo stati dei veri rivoluzionari noi due… Intendo anche quell’altro, il Copernico. Magari a fine intervista le rivelo un particolare curioso su di lui. »
«Grazie in anticipo. Mi pare che in quanto a segreti indiscreti anche lei…»
«Pur muovendomi fra alambicchi e calderoni, non ho mai cercato la pietra filosofale né di trasmutare metalli vili in oro. Curiosità da libero pensatore e scienziato sì. D’altra parte, anche quel geniaccio inglese di Newton, ben un secolo dopo di me, si dedicava per passatempo alle arti occulte. »
«Lei è vissuto nell’epoca in cui andavano di moda i quadrati magici, intendo quelle tabelle numeriche in cui la matematica è asservita alla superstizione. Ne circolavano parecchie incise su lastre di vari metalli, secondo il censo del possessore. Davvero lei non ne ha mai propinato qualcuno, diciamo in funzione di placebo, ai suoi pazienti?»
«Può benissimo non credermi. No, ma ne ho ricevuto uno in segno di riconoscenza da un cavaliere mercenario al quale estrassi una scheggia dalla spalla. Convinto che gli avesse portato fortuna per essere stato colpito in un punto non vitale, si raccomandò che lo portassi anch’io ed insistette nel donarmelo. »
«Era di valore? »
«Macché. Si trattava del comunissimo talismano di Saturno di tre quadretti per tre con costante magica quindici, naturalmente coniato in vile piombo, il metallo dedicato a quel pianeta. Sai che guadagno! »
«Non li avrà mai prescritti come “integratori” della cura, però mi ha appena confermato che li conosceva bene. »
«Per forza. Quella era l’epoca in cui tutti i dotti ne parlavano. Pensi al Dürer che ne incide uno perfino nella sua celebre Melancolia! »
«Ha ragione; scusi il pregiudizio. La sua rivoluzione consiste, se ho ben capito, nella preparazione di farmaci partendo direttamente dai minerali, senza l’intermediazione delle piante dalle quali gli erboristi ricavavano i principi attivi. Rischioso, almeno per i suoi tempi pressoché senza nozioni perfino di chimica inorganica. »
«Rischioso sì, ma non dimentichi il mio motto che ancora oggi avvalora il lavoro nei vari laboratori farmaceutici: “Tutto è veleno, solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto”. Se ben ci pensa, nel suo terzo millennio, innumerevoli vecchiette affette da osteoporosi assumono ogni giorno discrete dosi di carbonato di calcio e sportivi d’ogni disciplina integratori di sali di magnesio e potassio. »
«Vero. Basta leggere le virtù nutraceutiche degli alimenti più comuni: latte, miele, uova, verdure, frutta… Perfino l’acqua che compriamo in bottiglie è detta minerale. Lei è considerato tra i padri della tossicologia e farmacologia. Mi confida adesso quanto promesso su Copernico? »
«Certo. Di quanto sto per dirle trova conferma sul sito dell’Università di Ferrara. Quel geniale polacco, non in matematica si è laureato nel 1503, bensì… in Diritto Canonico, pensi un po’! L’avesse fatto anche Galileo, magari avrebbe imparato ad evitare tanti guai!»